Sono stato a scuola a parlare della Shoah a dei bambini di prima media. Fuori nevicava. Ero venuto per dire della Shoah attraverso una fiaba che la raccontava. Le bambine e i bambini erano attenti. Seri. Dietro (nell’orrenda lavagna luminosa che in quell’occasione ho deciso di utilizzare) scorrevano delle immagini: disegni di bambini nei lager.
Ho affidato all’improvvisazione il racconto, aiutato in questo dalla discrezione pedagogica degli insegnanti. Abbiamo parlato delle favole. Dell’esistenza delle fate e dei folletti. E dell’Irlanda, un paese nel quale persino i grandi – sempre meno purtroppo! – credono ai folletti. Ai folletti: all’Anima mundi, allo Spirito della Terra. Naturalmente il discorso che veniva fuori da sé riguardava la Shoah, la memoria, i bambini che ascoltavano, e pure gli adulti presenti incarnati dalle due insegnanti (una di loro è un’amica). Come se il discorso trovasse da sé, auscultando i cuori presenti, il suo giusto grado, cambiando di volta in volta tonalità e registro indipendentemente da me che lo lasciavo fluire, e dagli altri che come foglie di alberi appena nati erano toccati dalla brezza lieve di questo sentire. Così alcune citazioni, anche difficili, sono comparse come sassi nel prato di un bosco (senza stravolgere il discorso, semmai indirizzandolo ulteriormente).
Primo Levi dei Sommersi e i salvati. Non esistono salvati. ma quelli che si credono salvati, accettando, accogliendo e portando alla luce la parte sepolta, il ricordo dei morti, testimoniando per loro, diventano essi stessi dei sommersi in ritardo, dei sommersi dopo. Ecco il senso della morte di Primo Levi, e di Paul Celan. Poi ho letto una poesia difficile, invitandoli a cogliere le immagini, dimenticando il senso e la spiegazione, solo le immagini. Così ho letto Fuga della morte di Paul Celan. E loro erano attenti. Perché una poesia così dura e difficile possa cominciare ad agire nel bene laddove è ancora possibile: a seminare nell’infanzia.
Negro latte dell’alba